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mercoledì 23 luglio 2014

L'ONU prefigura il reato di crimini di guerra per Israele

Secondo l’analisi dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, nella situazione di Gaza potrebbero prefigurarsi crimini di guerra. Il reato è attribuibile sia all’esercito israeliano, che ad Hamas; tuttavia la posizione più grave sarebbe quella dello stato di Israele, per avere condotto attacchi armati contro civili, che hanno prodotto un numero elevato di vittime, molte delle quali che in modo inoppugnabile non compivano atti ostili contro lo stato israeliano. Occorre ricordare che le vittime palestinesi ammontano oramai a circa 600 persone, nella percentuale del 74% non belligeranti, di cui 147 bambini e 74 donne, cui si devono aggiungere 29 soldati di Tel Aviv. L’alta percentuale di civili ha indotto l’ONU ad interrogarsi sui metodi con i quali gli israeliani stanno conducendo l’azione contro Gaza. Le Nazioni Unite non ritengono sufficienti i metodi di avvertimento elaborati da Tel Aviv, che dovrebbero salvaguardare la popolazione civile, in particolare viene contestata l’efficacia degli ordigni a basso contenuto di esplosivo, che precedono le bombe vere e proprie, giacché questi missili di avvertimento hanno prodotto comunque delle vittime tra i civili, che abbandonavano le loro abitazioni . La tattica di Hamas, che ha nascosto le rampe dei missili che vengono lanciati contro il territorio israeliano e poggia sull’uso dei tunnel che corrono sotto il centro abitato della striscia, ha trasformato la popolazione civile di Gaza in scudi umani, il cui scopo protettivo è stato superato e non considerato dall’esercito di Tel Aviv, che colpisce in maniera indiscriminata le zone densamente abitate. Per l’ONU questa condotta costituisce una violazione del diritto internazionale palese e non può essere considerata una attenuante il fatto che Hamas faccia la stessa cosa nei confronti di Israele. Secondo le forze armate israeliane il fatto che gli obiettivi militari siano collocati tra le case civili, fa di queste ultime esse stesse degli obiettivi che possono essere colpiti, in una logica che accomuna interi quartieri ad installazioni militari, per il solo fatto che queste ultime risiedano in mezzo ai centri abitati. Si tratta di una visione distorta, che non tiene in alcun conto la vita umana e disprezza il diritto umanitario in maniera assoluta. La giustificazione che la risposta militare avviene come difesa ad atti di guerra di Hamas, costituiti del lancio dei missili, appare non rilevante, perché l’entità della risposta è sproporzionata per la dimensione e la differenza delle forze messe in campo; inoltre i sistemi missilistici di difesa hanno impedito vittime israeliane. I rilievi dell’ONU pongono Israele in una situazione difficile a livello politico: la Palestina può ricorrere alle corti di giustizia internazionale, nella qualità di membro osservatore delle Nazioni Unite, ma lo stesso Alto Commissariato per i diritti umani può, di propria iniziativa, aprire delle inchieste. Inoltre l’ONU ha rilevato come il blocco di Gaza sia illegittimo e come l’arresto in detenzione amministrativa di circa 1.200 palestinesi non sia conforme al regime detentivo. Nonostante la dimostrazione di forza non potrà che portare Israele alla vittoria sul campo, il destino di questa campagna militare sembra destinato ad essere fallimentare sul piano diplomatico, accrescendo l’isolamento di Tel Aviv nel consesso internazionale. Anche gli alleati più vicini ad Israele ritengono che le modalità con le quali vengono condotte le operazioni a Gaza abbiano oltrepassato ogni ragionevole misura. Ma Tel Aviv ha giustificato i rilievi dei componenti dell’Alto Commissariato per i diritti umani come semplici reazioni emotive, una definizione alquanto inquietante, che rileva come la sensibilità e la considerazione del governo israeliano verso le vittime civili sia tutt’altro che elevata.

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