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giovedì 23 ottobre 2014

Il Primo ministro iracheno in visita a Teheran

La visita in Iran del nuovo premier irakeno, Haidar, al-Abadi, anch’esso di religione sciita, rinforza i legami tra i due paesi, soprattutto nell’ottica difensiva, per entrambi, dall’avanzata del califfato. L’Iran formalmente non aderisce alla coalizione contro lo stato islamico, tuttavia alcuni suoi uomini hanno già combattuto sul terreno dell’Iraq, al fianco dei peshmerga curdi, essendo, così, di fatto, il primo paese straniero ad impiegare i propri effettivi in scontri convenzionali sul terreno. Il governo a maggioranza sciita di Bagdad è, fin dall’inizio delle ostilità, uno dei principali obiettivi dei jihadisti sunniti: rovesciare con la forza l’esecutivo irakeno costituirebbe una vittoria enorme sia militarmente, che dal punto di vista mediatico e potrebbe permettere una propaganda senza pari nel mondo sunnita. Proprio nella ricorrenza della festività religiosa sciita dell’Ashura sono avvenuti diversi attentati con autobombe nella capitale irakena, che hanno provocato devine di morti. Le autorità religiose ed il governo di Teheran è da tempo che si preoccupano per gli attentati ai fedeli  ed ai luoghi di culto sciiti presenti in Iraq, ma finora hanno limitato la loro azione forse anche consigliati dagli americani, timorosi di trasformare il confronto con lo stato islamico in una guerra tra sciiti e sunniti. Di fatto, però questo è quello che sta avvenendo già ora, anche se gli sciiti sono soltanto il principale bersaglio degli integralisti sunniti, che perseguono anche ogni altra forma di religione differente. La preoccupazione di Teheran non riguarda soltanto la persecuzione degli sciiti, ma anche il timore di attacchi contro il proprio territorio, sempre più prossimo ai combattimenti, gli ultimi dei quali si sono svolti soltanto a cinquanta chilometri dal confine iraniano. In Iran si ha timore di un possibile contagio dell’estremismo radicale nelle zone del paese abitate dalle minoranze sunnite, che non potrebbero certo allargare troppo il conflitto ma praticare atti terroristici. L’alleanza internazionale contro il califfato e, per primi, gli stessi USA, non hanno certo bisogno di una tale esasperazione del conflitto e pur potendo contare sull’appoggio iraniano preferiscono che Teheran mantenga un basso profilo. Si tratta di una opinione condivisa anche dal nuovo premier di Bagdad, che ha preferito coinvolgere i sunniti moderati al governo, al contrario del proprio predecessore, per invertire la tendenza intrapresa dopo la caduta di Saddam, dove le responsabilità di governo del paese, anziché essere condivise tra appartenenti alle due correnti religiose dell’islamismo, erano di competenza dei soli sciiti. Questo indirizzo, provocato come reazione alla totale gestione del potere da parte dei sunniti, durante il regime di Saddam Hussein, è stato ritenuto uno dei fattori determinanti del successo del califfato tra le popolazioni sunnite irakene. Una delle parti della strategia di Washington, per togliere consenso popolare allo stato islamico, è stata proprio quella di convincere il governo di Bagdad ad essere più inclusivo con la componente sunnita. Questa partecipazione ha comunque basi fragili ed un eventuale ingresso di truppe iraniane in territorio irakeno interromperebbe sicuramente la collaborazione al governo dell’Iraq tra sciiti e sunniti. Per questa ragione a Teheran, il premier irakeno ha ribadito che non ammetterà alcuna truppa straniera, e soprattutto proveniente da una potenza regionale sul suo territorio per combattere lo stato islamico. Si è trattato di un messaggio, non tanto rivolto all’Iran, convinto si mantenere il basso profilo richiesto dagli USA e dalle circostanze, quanto ai sunniti della coalizione per convincerli che la visita in Iran non è stata effettuata per richiedere l’aiuto di Teheran. La politica di riconciliazione nazionale resta così al centro della strategia del governo irakeno, anche se è un fatto che la spaccatura geografica del paese si sta sempre più accentuando, con i curdi impegnati a conquistare la loro sovranità e la gran parte dei sunniti ancora troppo distanti dal governo centrale.

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