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martedì 21 ottobre 2014

La Gran Bretagna verso l'uscita dall'Unione Europea?

Alla vigilia della fine del suo mandato come Presidente della Commissione europea, Josè Barroso, che ha contraddistinto il suo mandato per essere molto filo inglese, ha riservato dure critiche a Londra, per la volontà del premier Cameron di limitare la libertà di movimento dei cittadini europei all’interno del Regno Unito. Il  provvedimento dovrebbe riguardare la limitazione dei cittadini dell’Europa orientale, cioè appartenenti agli undici paesi che hanno aderito alla UE nel 2004. Per Barroso questa decisione costituirebbe un errore storico, che potrebbe decretare la fine della permanenza della Gran Bretagna all’interno dell’Unione Europea. In realtà si tratta dell’ennesimo segnale del disagio inglese nei confronti di Bruxelles, che la UE ha finora sopportato in nome della convenienza economica, ma che ora incomincia ad essere visto sotto un’altra ottica, grazie al perdurare stato di crisi. L’assenza di commenti da parte dei rappresentanti dei principali paesi Europei hanno il significato di avvallare le parole di Barroso e dimostrano che la permanenza di Londra nella UE sia vicina alla fine. In passato i commenti della Germania o della Francia in favore della presenza di Londra nell’unione erano scontati, malgrado la mancata adesione alla moneta unica, ora invece, soltanto silenzio. D’altra parte le stesse parole di Cameron, che ha dichiarato di volere rinegoziare l’appartenenza a Bruxelles significano che nei programmi del primo ministro la possibilità di uscire dalla UE è ben più di una ipotesi. Quali sarebbero, infatti, le probabilità da parte degli altri membri di accettare condizioni differenti per un singolo paese rispetto al resto dell’Unione? Anche solo dal punto di vista normativo si verrebbe a creare un precedente capace di rompere ogni equilibrio; malgrado l’importanza di Londra, sarebbe più economico rinunciare alla partecipazione del Regno Unito, che accettare la continuazione del rapporto su basi create appositamente per la Gran Bretagna. A ben vedere le pretese, spesso assecondate di Londra, nella storia recente dell’istituzione europea, sono sempre andate in questa direzione, avvicinandosi pericolosamente al limite dell’esclusione, senza mai varcarlo per reciproci vantaggi. Tuttavia Cameron commette un errore grossolano: vuole sacrificare gli aspetti positivi dello stare in Europa, con una esigenza elettorale del proprio partito,  per evitare l’erosione dei suoi elettori ad opera degli euroscettici. Questa tattica serve anche a mascherare la crisi economica inglese riversando l’attenzione immediata sul problema dell’immigrazione. Se l’obiettivo di Cameron è quello di guadagnare tempo, quello che sacrifica rischia di rappresentare in futuro un danno ben maggiore per il paese. Resta pur vero che nella maggioranza della popolazione inglese il malcontento verso l’istituzione europea incomincia ad essere sempre più elevato, in questa fase è più facile, ed con qualche ragione, dare la colpa alla UE dello stato dell’economia, ma i cittadini inglesi non considerano i benefici che perderanno allontanandosi da Bruxelles, che sarà ben difficile rimpiazzare. Sarà interessante anche vedere come vorrà reagire l’insieme dell’Europa all’eventuale uscita inglese. Fino ad  ora Londra ha goduto di concessioni certamente sovrastimate in rapporto a quanto ha dato all’Europa: a conti fatti chi ci ha guadagnato è stata la Gran Bretagna, che, tra l’altro, ha più volte tradito lo spirito con cui è nata l’unione. Senza Londra l’Europa potrebbe avere maggiori possibilità di coesione, soprattutto nella prospettiva dell’unione politica; l’uscita del regno Unito, inoltre, potrebbe rappresentare un precedente per quei paesi che sfruttano la loro appartenenza europea soprattutto per ragioni economiche e non nutrono le giuste convinzioni comunitarie su cui si basa la UE fin dalla sua nascita. Londra fuori dall’Europa deve preoccupare soltanto gli inglesi, per gli altri dovrebbe essere soltanto un vantaggio.   

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