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mercoledì 27 maggio 2015

Le incognite dell'uscita di Inghilterra e Grecia sull'Unione Europea

La struttura dell’Unione Europea corre due rischi considerevoli per il suo assetto: l’uscita della Gran Bretagna e quella della Grecia. Londra ha, al suo interno, parecchi euroscettici e la situazione è aggravata dal risveglio indipendentista della Scozia, niente affatto scongiurato dal recente esito del referendum. La Grecia, non ha un problema essenzialmente politico, o meglio, lo ha soltanto perché discende dalle condizioni economiche e della soluzione della propria situazione debitoria. Si tratta di due situazioni estremamente differenti, che possono, però creare precedenti importanti e che possono portare alle conseguenze estreme della dissoluzione del progetto europeo. Non sono poi, da dimenticare, i tanti movimenti che, anche in altri stati premono per una maggiore indipendenza da Bruxelles. Queste pressioni sono state fino ad ora le sole che hanno cercato di condizionare l’Unione Europea, partendo spesso da ragioni anche condivisibili, ma sono state contenute, perché si trattava di movimenti o partiti politici, anche con un certo seguito elettorale, ma che, non avevano una supremazia politica nei loro paesi. I casi di Gran Bretagna e Grecia, al contrario, rappresentano emergenze statali e quindi facenti parte del processo decisionale istituzionale di Bruxelles. Il tentativo di Londra è cosa nota: cercare di obbligare l’Unione Europea ad una serie di condizioni favorevoli soltanto agli inglesi, con la minaccia dell’uscita. Cameron, è vero, deve fare i conti con chi vuole uscire dall’Europa, ma anche con chi vuole restarci ed in questo settore vi è tutto il mondo finanziario, che è il vero motore economico del paese, che avrebbe soltanto da perdere se non potesse più godere della libera circolazione dei capitali. Ma il Regno Unito vuole comunque più libertà e per cominciare rivendica la revisione dei trattati di adesione all’Europa. Si tratta di un vero e proprio attacco alle fondamenta legali su cui si basa l’Europa, una proposta giudicata irricevibile da Germania e Francia; Cameron ha preso, però, il problema alla larga: i temi di una minore burocrazia e la discussione per l’allargamento dei mercati con USA ed Asia, che sono temi sensibili per soprattutto per Berlino. Meno accettabili sono i tentativi di ridurre la libertà di circolazione all’interno dell’Unione Europea, con il principale intento di evitare il più possibile l’ingresso dei migranti sul suolo inglese. Il percorso verso una possibile uscita di Londra dall’Europa è comunque non breve, se il referendum si terrà entro il 2017 come previsto, Parigi e Berlino, congiuntamente con Bruxelles non saranno impreparati, infatti i capi di stato dei due paesi, Hollande e Merkel ed il presidente  Juncker, hanno già preparato una serie di incontri per controbattere un programma di azione comune contro la strategia britannica. Ma nel 2017 vi è un’incognita importante di cui tenere conto: le elezioni francesi. Se i pronostici resteranno invariati potrebbero andare al governo gli anti europeisti del Fronte Nazionale ed a quel punto, i detrattori inglesi dell’Europa troverebbero un potenziale alleato; questo fattore impone all’Europa di cercare di sistemare in modo definitivo la questione con gli inglesi in modo anticipato. Per fare ciò la pratica del direttorio, cioè di una conduzione europea di fatto fuori dagli schemi istituzionali, quella che stanno conducendo Francia e Germania con la complicità delle istituzioni di Bruxelles, non pare la scelta migliore. Il mancato coinvolgimento dei paesi europeisti più convinti unita alla mancata osservanza delle regole, conferma ancora una volta di più la sensazione di una Europa fatta non di soci con diritti paritari, ma di una entità sovrastatale dove il potere è sbilanciato in maniera evidente, che,  guarda caso rappresenta le critiche sempre più spesso mosse alla gestione di Bruxelles. Facendo in questo modo si continua a dare adito alle contestazioni senza cercare di guadagnare quel consenso necessario a formare una unione politica. Anche se non si può non riconoscere che questa metodologia di gestire il potere, lasciata in mano ai membri più rilevanti è proprio una conseguenza della mancata volontà di attuare istituzioni politiche autonome, svincolate dagli esecutivi statali e dotate di una propria capacità di governo. Siamo, dunque , davanti ad una strada che si vuole senza uscita e che le sole intenzioni di fornire stabilità finanziaria ed economica agli stati, non è sufficiente senza un reale coinvolgimento totale. Questi stessi ostacoli, seppure sotto forma differente, obbligano il percorso della Grecia ad una faticosa ricerca della soluzione, in nome soltanto dell’osservanza dei vincoli economici, che superano ancora una visione politica più ampia, necessaria a preservare l’unità continentale.

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