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mercoledì 27 maggio 2015

Perché l'Arabia Saudita combatte così duramente i ribelli yemeniti

La questione yemenita appare lontano dalla risoluzione. Nuovi bombardamenti, compiuti da aerei e navi militari della coalizione dei paesi sunniti guidati dall’Arabia Saudita, che hanno colpito una base navale all’imbocco del golfo di Aden, occupata dai ribelli huthi, indicano che la tensione rimane alta e la resistenza delle formazioni ribelli sia ancora lontana dall’essere vinta. Il fatto stesso che la campagna militare sia in corso da oltre due mesi e che la stessa Arabia Saudita sia dovuta tornare a compiere azioni militari, dopo che aveva annunciato la sospensione dei bombardamenti, indica una situazione di difficile soluzione. Anche la presentazione dei ribelli huthi, come bande di disperati, che era stata effettuata all’inizio del conflitto, non sembra più reggere: le capacità dei ribelli sono fuori discussione, ma è dal punto di vista politico che lo scenario richiede una nuova analisi. Se è vero che vi è una componente di opposizione religiosa, da inquadrare tra la maggioranza yemenita di matrice sunnita, con quella sciita, a cui appartengono gli huthi, questo aspetto non basta a spiegare un confronto che ha una sua rilevanza di tipo politico. L’obiettivo dei sauditi è di riportare al potere il presidente deposto ed eliminare ogni possibilità che l’Iran voglia estendere la propria influenza su di un paese confinante con Riyadh e fortemente strategico dal punto di vista geografico, perché consente il controllo dell’accesso al Mar Rosso e quindi al Canale di Suez. Indubbiamente le simpatie iraniane vanno tutte verso i ribelli sciiti, ma, storicamente il movimento degli huthi possiede un carattere locale, alieno agli equilibri internazionali. Gli huthi cercano di guadagnare una propria autonomia all’interno di un ambiente fortemente condizionato dall’influenza saudita e dove le discriminazioni verso le minoranze sono una costante capace di scatenare forti tensioni sociali. Ma l’aspetto più importante è che una parte numerosa dell’esercito regolare yemenita si è schierata con i ribelli, restando fedele al precedente presidente del paese. Questo fattore fa assumere alla crisi dello Yemen una connotazione più di politica interna che religiosa, capace di oltrepassare il pur rilevante confronto tra sciiti e sunniti. L’Iran, più volte accusato dai sauditi, ha smentito di avere aiutato, sia economicamente, sia militarmente i ribelli; se ciò corrispondesse a verità, l’operazione condotta nello Yemen dagli stati sunniti non dovrebbe essere inquadrata in una operazione per impedire l’allargamento dell’influenza iraniana, ma soltanto come una sorta di azione di polizia internazionale tesa a mantenere il controllo saudita sul paese. In sostanza Riyadh userebbe delle giustificazioni del mantenimento di equilibri geopolitici, che non sembrano essere esistenti, per dirimere un problema di politica interna di un paese vicino. In realtà quello che teme l’Arabia Saudita è la diffusione del contagio della ribellione nel suo territorio. Già in passato all’interno della monarchia del Golfo più importante, le minoranze sciite hanno rivendicato maggiori diritti in campo lavorativo ed hanno manifestato in occasione del periodo delle primavere arabe. Il problema è stato, ancora una volta ricondotto ad un confronto religioso, mentre gli sciiti si ribellavano non contro i sunniti, ma perché discriminati nei diritti. A quel tempo fu usata una tattica mista, composta da repressione e concessioni, soprattutto salariali, ma la società saudita non si è mai completamente pacificata, anche se gli episodi di ribellione sono stati tenuti nascosti dalla potente censura. L’Arabia Saudita è uno degli stati più illiberali del mondo, dove vige, anche legalmente, la versione più integralista dell’Islam e la sua classe dirigente ha tutto l’interesse ha soffocare qualsiasi forma di contrarietà alla linea della casa regnante, anche se questa è fuori dai confini dello stato. La potenza economica, politica e religiosa di Riyadh nella regione la rende, senza dubbio, la maggiore potenza regionale, capace di avere dalla sua parte stati che hanno caratteristiche analoghe e mirano a difendere lo status quo. Per questo la variabile huthi non può essere ammessa ad una distanza così breve.

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