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mercoledì 27 luglio 2016

Lo Stato islamico esporta in Europa l'intolleranza religiosa

L’attentato in Francia, avvenuto all’interno di una chiesa cattolica, un luogo di culto, rappresenta un fattore di ulteriore crescita dell’azione terroristica, perchè accaduto in Europa, dove non era mai successo, ma non rappresenta una novità: infatti lo Stato islamico nell’invasione dei territori siriani ed irakeni ha profanato in modo analogo ed anche più grave altri luoghi di culto, non solo cristiani, ma anche yazidi, sciiti e sunniti che non si riconoscevano ne si identificavano con il califfato. L’azione francese degli integralisti islamici sembra volere esportare nel vecchio continente questa condotta di intolleranza più completa nei confronti degli altri culti, trasformando il terrorismo in minaccia costante contro i diritti e le libertà, tra cui quella religiosa, appunto. Un modo per aumentare la pressione sui paesi occidentali ed esporli al pericolo costante di attentati nei luoghi più diversi, per esasperare il senso di insicurezza nella popolazione. Certamente il valore simbolico di questo attentato è ben diverso perchè fa compiere l’atto terroristico in un luogo di culto di quella religione che gli uomini del califfato hanno sempre identificato come simbolo degli occidentali, tanto da definirli crociati.  Si può parlare di guerra di religione? Probabilmente l’intento del califfato è proprio quello , tuttavia l’espressione appare impropria perchè definisce uno stato che riguarda una minima parte di musulmani, piuttosto la percezione è quella della volontà di applicare una simbologia all’atto terroristico che vuole colpire il credo altrui, sopratutto quello occidentale, funzionale ad esaltare potenziali azioni analoghe  e, nello stesso tempo, spostare il confronto sul disprezzo della religione cristiana come mezzo per trovare altri martiri da immolare alla causa del terrorismo islamico. Risulta innegabile che il fascino dell’attentato compiuto nel nome dell’islam ed eseguito all’interno di una chiesa può rappresentare una sorta di maggiore richiamo per i nuovi attentatori. Del resto il califfato ha bisogno di azioni a forte impatto mediatico, sia dirette contro i propri nemici, che dirette verso il proprio interno, in un momento dove la sovranità sui territori conquistati in medio oriente si sta piano piano, esaurendo. Da un certo punto di vista questo segnale rappresenta la difficoltà dello Stato islamico nel mantenimento del proprio ruolo di guida dell’integralismo islamico, assunto proprio con la capacità di ottenere con mezzi militari il controllo di vasti territori. Questa particolarità, che ne ha contraddistinto l’azione, è quella che gli ha consentito di sorpassare Al Qaeda nella classifica dell’importanza delle organizzazioni estremiste. Quindi il ricorso agli attentati non può che essere individuato come un ripiego; ma la pericolosità è tutta dentro a questa constatazione: se, da un lato, il califfato viene sconfitto sul campo di battaglia e non può più esercitare la propria sovranità, dall’altro ha comunque bisogno di mantenere la propria leadership innalzando il livello dello scontro al di fuori dei propri territori, con attentati sempre più eclatanti e di ampia risonanza mediatica. Paradossalmente la sconfitta militare dello Stato islamico nei territori mediorientali ha accresciuto il pericolo per la popolazione europea; in Europa il califfato può contare sui combattenti di ritorno dalle zone di guerra, che hanno un addestramento militare, ma anche kamikaze reclutati sul posto tra giovani musulmani non integrati e spesso provenienti dalla malavita locale. Pur essendo due categorie ben distinte, in entrambi i casi il tasso di pericolosità e di imprevedibilità è molto alto. Un fattore ulteriore di pericolosità per le chiese cristiane è il fatto che queste si adoperano per accogliere i profughi, anche quelli di religione musulmana, riempiendo il vuoto lasciato dalle istituzioni statali. Per la visione integralista questo aiuto è inconcepibile sia dal lato di chi lo fornisce, sia da colui di chi lo riceve, se diretto verso i musulmani. Questa evoluzione pone delle riflessioni di ordine pratico per la prevenzione di altri possibili attentati, tale da estendere il pericolo in una dimensione praticamente infinita. Tralasciando l’Italia e la Spagna, le sole chiese cattoliche francesi sono oltre 47.000 e da ora, possono considerarsi tutte un possibile obiettivo. La Francia appare sicuramente il paese più vulnerabile, perchè la sua sicurezza ha già mostrato delle falle di non poco conto, ma a questo si deve assumere la grande disponibilità di personale su cui potenzialmente il terrorismo può fare presa, presente nelle periferie.  Per i paesi europei si evidenzia una volta di più la necessità di un coordinamento a livello sovranazionale più strutturato, in grado di offrire una risposta adeguata in senso repressivo, ma sopratutto in senso preventivo con azioni di intelligence e di polizia; tuttavia questa soluzione appare soltanto come un rimedio di emergenza, che non potrà essere impiegato all’infinito senza il supporto di una azione di tipo sociale, capace di eliminare il senso di smarrimento che appartiene ad un’ampia fascia sociale: proprio quella che costituisce il serbatoio del reclutamento dell’integralismo.

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