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venerdì 14 ottobre 2016

La Scozia vuole un nuovo referendum per l'indipendenza

Uno degli effetti previsti del risultato del referendum inglese per uscire dall’Europa, era la disgregazione del Regno Unito, in ragione dei voti nettamente contrari di Scozia, Irlanda del Nord e Gibilterra. La prima a reagire fu proprio la Scozia, che proveniva da un altro referendum, quello per l’indipendenza, bocciato dai cittadini scozzesi. Il governo di Edimburgo, che gode di ampia autonomia, si è sempre detto fermamente contrario all’uscita dall’Unione, portando anche a Bruxelles le proprie istanze. Per la Scozia è importante rimanere in Europa per continuare a ricevere i contributi dell’Unione e d accedere al suo mercato libero. La contrarietà, non troppo netta, manifestata dagli elettori scozzesi all’indipendenza della Scozia era legata alla permanenza nell’Unione Europea ed, anzi, uno dei motivi che avrebbero indotto diversi elettori ad esprimere un giudizio contrario, consisteva proprio nei dubbi di Bruxelles di potere accogliere al suo interno un paese secessionista, senza l’approvazione dello stato da cui si era staccato. Il governo di Cameron, infatti, aveva avvertito, che non avrebbe mai dato il proprio benestare ad un ingresso della Scozia nell’Unione Europea; inoltre c’era la aperta opposizione della Spagna, che vedeva una similitudine tra Scozia e Catalogna, a causa dei fermenti indipendentisti di Barcellona. Lo scopo di Madrid era quello di impedire un precedente, che avrebbe permesso alla Catalogna di rafforzare i propri intenti indipendentisti. Il risultato del referendum inglese ha, indubbiamente, cambiato le condizioni per una permanenza della Scozia all’interno del Regno Unito, ed ha risollevato le questioni indipendentiste, non più viste in un’ottica di sola secessione da Londra, quanto una maniera concreta per potere continuare a restare all’interno dell’Unione Europea. I dati relativi alla regione scozzese realtivi al referendum per l’uscita dall’Europa hanno visto un risultato contrario di oltre il 60% dei votanti. Si comprende come le ragioni degli indipendentisti e degli europeisti siano ora praticamente coincidenti. Questa nuova richiesta da parte di Edimburgo, preoccupa molto Londra, che vede concretizzarsi il rischio di una frantumazione del Regno Unito. In effetti la posizione del governo inglese ricalca questa preoccupazione, che si concretizza con il rifiuto ad autorizzare un altro referendum per l’indipendenza scozzese. D’altro canto i risultati contrari all’uscita dall’Europa sono stati del 55% in Irlanda del Nord e ben il 96% a Gibilterra, ed una autorizzazione ad un nuovo referendum per la Scozia potrebbe aprire la strada alla unificazione dell’Irlanda del Nord con l’Eire ed un diverso destino anche per Gibilterra. Tuttavia esistono dei dati che potrebbero portare ad un risultato negativo un nuovo referendum per l’indipendenza scozzese, infatti secondo gli ultimi sondaggi soltanto il 37% degli scozzesi, sarebbe favorevole ad una nuova consultazione, contro il 50% di contrari. Occorre specificare, però, che il dato dei contrari potrebbe essere destinato a scendere in concomitanza con gli effetti di una uscita rapida dall’Europa da parte del Regno Unito, come auspicato da Bruxelles. In realtà, nonostante i duri propositi  dal governo inglese, le vere intenzioni di Londra, sono quelle di cercare un accordo per una uscita più lunga, in modo da riorganizzare la propria economia, senza più gli aiuti ed i vantaggi assicurati dall’Europa. Questo secondo caso vede la Scozia favorevole, ad un approccio che consenta di dilatare nel tempo l’allontanamento di Bruxelles, sia per mitigare gli effetti sull’economia scozzese, già provata dal calo delle entrate derivanti dalla vendita del greggio, sia per organizzare meglio un nuovo referendum. In ogni caso lo scenario peggiore si prospetta per il Regno Unito, che ha già iniziato a provare cosa significa l’uscita dall’Europa, in relazione alla quotazione della sterlina, che risulta vicina alla parità con l’euro. In questa fase ne beneficiano le aziende inglesi, che possono aumentare le loro esportazioni, ma pur sempre in un quadro di libero mercato con i paesi europei, tolte queste facilitazioni anche una sterlina debole non potrà assicurare le medesime condizioni. Se, poi, dovessero verificarsi le secessioni, che potenzialmente possono accadere, il contraccolpo psicologico sul paese non potrà che trasformarsi in una contrazione economica, con diverse aziende, che hanno già elaborato strategie alternative alla presenza in Inghilterra. Se questo scenario diventerà reale non è azzardato prevedere un ripensamento inglese, ma stavolta l’Europa non potrà più accordare le condizioni di favore che aveva assicurato a Londra prima del risultato del referendum.

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