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giovedì 15 giugno 2017

L'Egitto cerca una dimensione maggiore nel mondo sunnita

La cessione delle piccole isole egiziane, situate nel Mar Rosso, a favore dell’Arabia Saudita, deve essere inquadrata nell’offensiva che le monarchie saudite hanno intrapreso contro il Qatar e nell’ambito più generale della contrapposizione tra sunniti e sciiti. La decisione di donare le piccole isole disabitate, ma con grande valenza strategiche del Mar Rosso, da parte de Il Cairo, che ne aveva il controllo fin dal 1906, ha suscitato pesanti polemiche e contrasti nel paese egiziano ed anche dal punto di vista legale la Corte costituzionale del paese aveva dato  parere contrario, rovesciato, però da un tribunale di grado inferiore. Il Presidente egiziano Al Sisi ha dimostrato, una volta di più, quale sia il grado del proprio rispetto delle istituzioni del paese e di come sia vigente una dittatura. Dal punto di vista della politica internazionale l’Egitto ha ceduto le isole nel quadro dell’alleanza con le monarchie saudite, in cambio di ricchi aiuti, diretti a risollevare una economia in forte crisi, ma sopratutto per sancire in modo più fermo l’alleanza politica con le monarchie saudite: una contrapposizione generata dal blocco sunnita contro l’Iran, che ha come obiettivo diminuire il peso politico di Teheran. La presenza alla Casa Bianca di Trump ha favorito questo nuovo scenario, che, tuttavia, si basa su base molto meno solide di come appare. Le accuse al Qatar, di finanziare il terrorismo, infatti, provengono da un insieme di paesi fortemente indiziati di avere anch’essi contribuito allo sviluppo del terrorismo nell’area mediorientale, con l’intento di arrivare all’influenza sulla Siria e l’Iraq. In questo scenario la posizione del Qatar non è stata differente dagli stati che gli hanno dichiarato l’attuale ostracismo diplomatico, la questione sembra essere, invece, quella di contrastare un membro all’interno dell’area saudita, che sta cercando una dimensione più autonoma rispetto alle altre monarchie sunnite; i legami commerciali con l’Iran e l’appoggio ai Fratelli Musulmani, rappresentano un oggettivo elemento di turbativa all’integrità del fronte sunnita. In questo contesto l’inserimento dell’Egitto, anche con la donazione delle isole all’Arabia Saudita, rappresenta per Il Cairo, l’obiettivo di una nuova dimensione all’interno dell’area regionale e nel blocco sunnita. Se questo dovrà accadere a scapito del Qatar è presto per dirlo, anche perchè il Qatar, malgrado le accuse, è ancora strategico per gli Stati Uniti. Quello che si deve registrare, che dalla penisola arabica il blocco sunnita si estende al paese egiziano con maggiore coesione, con il chiaro intento di circondare l’area di influenza che Teheran mantiene sulla Siria. In questo le monarchie saudite hanno un alleato importante, anche se non ufficiale, in Israele, che ha in comune l’avversione all’Iran. Sul versante irakeno, la questione è però più complessa: la sconfitta dello Stato islamico non può non prescindere dall’impiego diretto sul terreno, sia dalle milizie curde, che da quelle sciite, due protagonisti, che, per ragioni diverse, non sono graditi alla galassia sunnita, sopratutto se si ricomprende in questa alleanza anche la Turchia. Il punto centrale è che nella scenario già fortemente instabile del medio oriente la frattura all’interno del blocco sunnita non può che portare ad ulteriore incertezza, specialmente se si considera il ruolo ambiguo e, sopratutto , incerto di Trump. In questo contesto la ricerca di emergere di soggetti, seppure importanti, ma più periferici nel contesto regionale, come l’Egitto rappresenta una novità, che deve essere contestualizzata alle necessità de Il Cairo, che cerca, sostanzialmente, una via internazionale per risolvere i propri problemi interni, sia di ordine politico, che di ordine economico. Cedere una parte del proprio territorio e, di conseguenza, perdere sovranità su posizioni strategiche, comporta un sacrificio calcolato, ma soltanto alla situazione contingente, che non tiene conto del praticamente certo malcontento che si va ad aggiungere ad una popolazione già fortemente provata. La strategia di Al Sisi, che cerca di recuperare posizioni sul piano internazionale, potrebbe rivelarsi fatale sul fronte interno, alimentando l’ostilità della popolazione anche per la troppa vicinanza con Tel Aviv e riportare il paese ad un punto critico, che non potrebbe che complicare il quadro generale della situazione araba. 

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