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lunedì 11 settembre 2017

Le Nazioni Unite affermano che in Birmania è in corso una pulizia etnica

La questione dei rohingya, la minoranza etnica di religione musulmana, presente in Birmania, sta assumendo contorni gravissimi sempre maggiori. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, il giordano Zeid Ra’ad al –Hussein,  ha parlato espressamente di pulizia etnica e di crimini contro l’umanità, operati dal governo birmano. Nonostante l’ostracismo del governo della Birmania, che non permette l’accesso sul suo territorio  al personale  delle Nazioni Unite, le rilevazioni effettuate grazie ai sistemi satellitari, hanno reso evidenti le violenze perpetrate contro i musulmani birmani, costretti ad una emigrazione forzata e di grandi proporzioni verso il Bangladesh. La situazione è degenerata dalla fine della dittatura militare, grazie all’azione degli estremisti buddisti, che hanno esasperato una situazione già difficile per i musulmani, considerati immigrati irregolari nel paese e quindi privi di cittadinanza regolare, benchè presenti nel paese da molte generazioni. La posizione ufficiale del governo birmano  è che le azione nello stato del Rakhine, quello dove risiede la maggior parte dei rohingya, siano dirette contro elementi che farebbero parte di gruppi terroristici; tuttavia l’incendio dei villaggi dei musulmani è diventato una pratica regolare, che ha obbligato le popolazioni rohingya a fughe di massa. Si calcola che nelle ultime settimane siano più  di 300.000 i profughi rohingya fuggiti verso il Bangladesh, creando una situazione di emergenza, aggravata dalle difficili condizioni igieniche. Ulteriore fattore di accanimento sabbe la presenza di mine disposte dall’esercito birmano ai suoi confini, non si sa se per impedire il ritorno dei rohingya o per completare la pulizia etnica non riuscita completamente. Questi fatti sono denunciati pubblicamente dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ed assumono un valore politico che deve essere preso in considerazione da tutte le nazioni del mondo, ed in particolare dall’occidente e dalle grandi potenze, per sottoporre la Birmania a tutte le ritorsioni possibili contro quegli stati che violano il diritto internazionale e compiono abusi gravi da violare i diritti umani più elementari. Lo stato birmano dovrebbe essere sottoposto a sanzioni economiche ed isolato a livello politico, mentre l’aiuto umanitario si dovrebbe concentrare per alleviare la tragedia dei rohingya e del Bangladesh, che si sta prestando ad accoglierli. In questa tragedia cìè però il caso dell’India, governata da un esecutivo molto vicino agli indù, che votrrebbe allontanare i profughi musulmani provenienti dalla Birmania. I rohingya fuggiti nei paesi stranieri sono impossibilitati a rientrare in Birmania, perchè per fare ciò, viene loro chiesta la prova della cittadinanza, requisito cessato fin dal 1962, quando sono stati privati di tutti i diritti civili. In questa situazione drammatica spicca il silenzio del premio Nobel Aung San Suu Kyi, che ricopre importanti incarichi all’interno del governo e ne è la leader non ufficiale. La San Suu Kyi non si è mai espressa sulla questione dei rohingya, fornendo la percezione di appoggiare la repressione in atto; le uniche dichiarazioni fornite sono state che in Birmania è in corso una lotta contro terroristi apparteneti all’etnia rohingya. Se questi sentimenti della San Suu Kyi, siano veri, obbligati dai militari o soltanto di circostanza per mantenere il potere conquistato non è dato sapere, certo il suo comportamento appare in aperto contrasto con le motivazioni per le quali ha conseguito il Nobel per la pace ed anzi proprio la condotta tenuta nella questione dei rohingya, nel suo importante ruolo ricoperto nel governo dela Birmania, fornirebbe la motivazione per la cancellazione del Premio Nobel, come richiesto da più parti. Questo atto, insieme alla pressione internazionale sulla Birmania da effettuare mediante sanzioni economiche ed isolamento politico, potrebbe attenuare nell’immediato al situazione dei rohingya ed aprire una trattativa per una soluzione della questione. Occorre ricordare che in una condizione di repressione sarebbe facile, per movimenti e gruppi dell’estremismo islamico trovare consensi e, se ciò non è ancora avvenuto è stato soltanto per la grande povertà ed emarginazione in cui sono stati tenuti i rohingya.

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