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giovedì 12 ottobre 2017

A settembre, record di morti in Siria

Lo scorso mese di settembre è stato il peggiore, per numero di morti, della guerra in Siria; tuttavia le tremila persone, di cui circa mille civili, che hanno perso la vita non sono bastate a riaccendere i riflettori su di un conflitto che si trascina come una guerra di posizione del secolo scorso. Non vi è, infatti, alcuna prevista soluzione imminente, che possa fermare una carneficina che sta andando avanti da troppo tempo. L’intervento russo, a cui è seguito quello americano, contrariamente alle aspettative, ha generato una situazione di stallo ed il prosieguo del conflitto si è attestato su posizioni che non sembrano permettere una evoluzione positiva. Assad, la cui permanenza al potere, è stata consentita solo dall’entrata nella guerra da parte di Mosca, controlla la parte costiera e più ricca del paese, anche grazie all’appoggio, altrettanto determinante dell’Iran e di Hezbollah. I curdi controllano la porzione del paese che confina con la Turchia e, per questo motivo, sono oggetto di azioni di contrasto da parte di Ankara; infine i territori ancora sotto il controllo dello stato islamico sono stati isolati dalla parte irakena, per l’avanzata delle forze che contrastano il califfato e che hanno praticamente rimesso sotto la sovranità di Bagdad la parte occidentale dell’Irak. Esistono poi delle piccole enclave dove sono presenti le forze democratiche siriane, alleate di Washington, che non hanno la forza sufficiente ad estendere oltre il proprio controllo. Si tratta di uno scenario vicino ad un equilibrio, certamente instabile, ma che presenta aspetti di immobilità prevalente, che non permettono di prevedere il raggiungimento della pace. In questo quadro l’aumento del numero dei morti si spiega con azioni di bombardamento dal cielo da parte dei russi e degli americani, che perseguendo obiettivi spesso contrapposti, colpiscono le parti avverse, spesso commettendo errori grossolani di valutazione ed andando quindi a colpire obiettivi civili. Sia Mosca, che Washington, affermano di volere colpire le forze dello Stato islamico, ma spesso, dietro a questa ragione ufficiale, vengono colpiti altri obiettivi, che possono essere le forze democratiche siriane contrarie ad Assad, da parte dei russi, o fiancheggiatori dell’esercito regolare siriano, da parte degli americani. Nella situazione generale non bisogna dimenticare le azioni israeliane, mai ammesse da Tel Aviv, per indebolire Hezbollah o strutture dell’esercito siriano, considerate pericolose per la sicurezza di Israele. Nonostante questo scenario, che rischia di alterare equilibri consolidati al di fuori della Siria ed il già citato triste record del numero di morti del mese di settembre, la guerra siriana sembra essere stata relegata in secondo piano nell’ambito dell’informazione, che l’ha degradata a notizia secondaria, non mantenendo la necessaria attenzione sull’argomento. Questa mancanza di interesse sembra privare della giusta concentrazione al fine di trovare una soluzione di una questione presente ormai da troppo tempo. Ogni parte in causa sembra non spostarsi dalle proprie posizioni e l’azione delle Nazioni Unite non trova la giusta via per porre fine al conflitto. Occorrerebbe, per prima, cosa, un dialogo effettivo tra USA e Russia, come canale principale da cui sviluppare una soluzione in grado di mettere fine al conflitto, ma conciliare gli opposti interessi non è facile, anche perchè l’atteggiamento di Trump verso l’Iran non è conciliante e l’interesse di Teheran, affinché Assad resti al governo a Damasco, resta prioritario. Così un insieme di veti incrociati non permette una soluzione, che potrebbe essere, invece, individuata nel mantenimento delle rispettive zone di occupazione, anche se in modo transitorio, per concentrare l’uso delle armi soltanto verso la parte occupata dallo Stato islamico. Certamente si lascerebbero alcuni vantaggi relativi alle parti straniere in causa, sicuramente non gradita una eventuale autonomia curda per la Turchia, ma si potrebbero aprire negoziati per favorire una via diplomatica per la ricerca della pace. Le Nazioni Unite e l’Europa dovrebbero osare di più nella proposta diplomatica e promuovere incontri per fermare le morti e le gravi condizioni sanitarie del paese ed essere, finalmente come protagoniste del dialogo: un ruolo dal quale  hanno  troppo spesso latitato.     

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