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mercoledì 21 marzo 2018

L'azione turca contro i curdi di Siria contiene segnali ambigui di politica internazionale

Dopo la conquista della roccaforte curda di Afrin, da parte delle forze turche, occorre fare alcune considerazioni sul futuro di questo conflitto, che si svolge nell’assoluta indifferenza da parte dei paesi occidentali. Il primo punto riguarda le modalità con le quali quello che è considerato il secondo esercito dell’Alleanza Atlantica si è mosso in territorio straniero in spregio ad ogni norma del diritto internazionale: in questo momento la Turchia si è annessa quasi diecimila chilometri quadrati di territorio siriano. Si tratta di un effetto secondario del conflitto che si svolge in Siria e che racchiude in se stesso potenziali elementi di sviluppo, con ovvie ripercussioni sugli equilibri regionali. Le modalità del comportamento, visto da un’ottica giuridica, della Turchia dovrebbero essere sanzionate con provvedimenti diplomatici, quali sanzioni economiche ed isolamento internazionale e la decadenza di ogni contatto con l’Unione Europea. Questo perchè, oltre alla già citata infrazione del diritto internazionale, la Turchia ha usato la forza militare contro una entità, quella curdo siriana, che è stata determinante per la sconfitta dello Stato islamico ed a cui l’occidente dovrebbe dimostrare in maniera tangibile la  propria gratitudine. Un altro elemento, che se provato rappresenterà un ulteriore motivo di possibile sanzione della Turchia, è l’uso contro i curdi di milizie sunnite, schierate di fianco all’esercito regolare di Ankara. Secondo i curdi in queste milizie sarebbero stati riconosciuti diversi appartenenti allo Stato islamico: si comprende che se ciò fosse vero, sarebbe la prova provata di un coinvolgimento della Turchia nell’uso dello Stato islamico come strumento, sia per annientare i curdi, che per conquistare la Siria, usato fin dall’inizio dell’entrata in guerra del califfato. Anche volendo comprendere la ragioni di stato e gli interessi delle relazioni internazionali, la domanda da fare è se esiste ancora una opportunità politica ed una convenienza generale, per avere qualsiasi legame con il regime turco di Erdogan. L’offensiva turca ha comunque faticato più del previsto ad avere ragione dei curdi di Afrin e questo rallentamento imprevisto potrebbe influenzare le eventuali decisioni di Ankara per proseguire gli attacchi verso la zona di Kobane e, sopratutto, verso la parte orientale della regione curda, quella dove sono presenti i militari americani. Sulla sconfitta curda occorre fare una considerazione sul destino dei curdi, che sebbene divisi al loro interno, rischiano di essere abbandonati ancora una volta dall’occidente cha hanno aiutato in diversi conflitti. Se dovesse nascere all’interno del movimento curdo una consapevolezza negativa verso i paesi occidentali, occorre considerare come possibile la nascita di forme terroristiche per focalizzare l’attenzione sulla questione curda: un problema evitabile mettendo al centro dell’agenda politica internazionale l’adeguata attenzione verso questo problema che si trascina da troppo tempo. Nel frattempo, oltre ai combattenti, si registra ancora un alto tributo di vittime tra la popolazione civile, che secondo fonti curde ammonterebbero a circa mille persone decedute, mentre, secondo i dati dell’Osservatorio dei diritti umani un Siria i morti sarebbero 285. Il computo dei profughi, invece, secondo le organizzazioni umaitarie sarebbe di 150.000 civili in fuga dalla regione. Fare ipotesi sul futuro di questo conflitto è difficile, perchè sono ancora troppe le variabili in gioco e le alleanze e le contrarietà, sia tra paesi diversi, che tra organizzazioni in campo, spesso si confondono, restituendo un quadro ancora troppo confuso a causa dei rispettivi interessi, che variano nel tempo e negli spazi in questione. Tuttavia non è difficile ipotizzare una risposta terroristica dei curdi in territorio turco, una soluzione che sarebbe meglio non si verificasse per non alimentare la spirale di una violenza quantitativamente già troppo estesa. Sul piano militare l’ipotesi più probabile, se la risposta occidentale sarà sempre assente, è un legame più stretto tra i curdi siriani ed il regime di Assad, l’unico che ha manifestato appoggio alla causa curda, per evidenti ragioni di interesse al mantenimento della propria sovranità sul territorio della Siria e per evitare l’ingerenza turca entro i propri confini. Se questo legame dovesse diventare più stretto le conseguenze del quadro delle alleanze attuali potrebbe essere destinato a subire variazioni determinanti. 

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